Che cos’è un gap di empatia? Mi spiego meglio.
In occasione dei recenti attentati a Bruxelles, il mondo intero si è riversato sui social media per offrire il proprio amore, le proprie preghiere e il proprio sostegno al Belgio. Lo stesso è accaduto quando Charlie Hebdo è stato attaccato da estremisti musulmani, scatenando l’hashtag #JeSuisCharlie che ha fatto il giro di Internet.
Un #montaggio fotografico che inizia a circolare e che potrebbe diventare l’equivalente del #JesuisCharlie di #Bruxelles pic.twitter.com/UXH8B3fpaZ
– Nadi Mobarak (@NadiMobarak) 22 marzo 2016
Tuttavia, alcuni netizen hanno anche notato un’apparente grande mancanza di preoccupazione per gli attacchi terroristici in altri luoghi: Beirut. Libano. Baghdad. Yemen.
Lo schema è diventato fin troppo prevedibile. Un atto di violenza che avviene in una parte del mondo mette in ombra quello di un altro attacco. Entrambi non sono meno traumatici, ma sembra che gli orrori di un attacco in una città americana o europea catturino la simpatia delle persone in tutto il mondo in modi che un’atrocità simile, non meno traumatica e angosciante, non sembra fare. Gli attentati in Libano o in Kenya non sono meno strazianti di quelli di Parigi o Madrid, ma dov’è “#IAmLebanon”?
Anche i social media sono stati criticati per questo squilibrio di empatia. Facebook si è guadagnato molte critiche per l’uso delle sue funzioni pronte per le crisi. Se c’erano controlli di sicurezza per i residenti a Parigi, perché non ce n’erano per la Libia e la Tunisia? Dov’era quella funzione che permetteva agli utenti di dipingere le loro foto profilo con i colori della Turchia o di Beirut?
Molti utenti di Twitter hanno espresso un sentimento simile a quello che quest’uomo ha riassunto così bene in due tweet:
Noi siamo tutti la Francia. Siamo tutti belgi. Non siamo mai la Nigeria. Mai la Palestina o il Libano. Costa d’Avorio o Burkina Faso.
– zellie (@zellieimani) 22 marzo 2016
Altre persone hanno scelto di usare questa affermazione come cassa di risonanza per discutere di questioni razziali, che fossero rilevanti o meno.
@GrantDOtown Non vedo alcun riferimento alla razza in questo tweet. Vedo una giustapposizione tra paesi del primo e del terzo mondo.
– Robert Klemko (@RobertKlemko) 23 marzo 2016
Altri hanno sfruttato l’occasione per addossare la colpa.
@RobertKlemko @GrantDOtown L’Occidente ha dato loro la possibilità di fuggire dalla guerra e loro a loro volta hanno portato la guerra in Occidente, questo è l’oltraggio.
– Le Freak (@lefreak2014) 23 marzo 2016
@RobertKlemko @GrantDOtown Si aspettano che l’Occidente faccia tutto per loro. E la contrapposizione dovrebbe essere tra zone civili e zone di guerra.
– Le Freak (@lefreak2014) 23 marzo 2016
Altri si sono concentrati sul contrasto tra i problemi all’estero e quelli nel proprio territorio.
@bijancbayne @zellieimani ^ che per me è più interessante. è stata mostrata molta più solidarietà per i vignettisti di Charlie Hebdo che per la chiesa di Charleston.
– Nathaniel C. Tensen (@NathanCTensen) 23 marzo 2016
E le questioni tra Israele e Palestina sono state ulteriormente alimentate.
@Jrandallb @zellieimani Israele ???? Lol mi stai prendendo in giro
– leyla (@zaynmyweeknd) 22 marzo 2016
@zaynmyweeknd Mi dispiace per ogni palestinese innocente che viene ucciso. La disumanizzazione dell’altro porta solo ad altre uccisioni.
– Randy Barnes (@Jrandallb) 23 marzo 2016
E c’è chi vuole solo che tutti ricordino che ciò di cui il mondo ha più bisogno in questo momento è l’empatia.
@zellieimani @Bea4Palestine Siamo tutti coinvolti in questa situazione, che tutti lo ammettano o meno
– di è a los angeles (@tovangar2) 23 marzo 2016
Di fronte a tutti i conflitti, al caos e all’odio che si scatenano in rete, ci sono ancora cose crude, belle e vere. Come questa ballerina palestinese in Italia.
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